È legittimo il licenziamento del lavoratore assenteista anche se il numero di assenze non supera il periodo di “comporto”, cioè la somma dei giorni di malattia consentiti. Lo ha stabilito la Cassazione, con sentenza n. 18678 del 4 settembre 2014, respingendo il ricorso di un lavoratore che con le sue numerose assenze per malattia, a «macchia di leopardo» e agganciate ai giorni di riposo, aveva fornito «una prestazione lavorativa non sufficiente e proficuamente utilizzabile dall’azienda». La sentenza, però, si pone in contrasto con l’orientamento a la giurisprudenza formatasi dalla pronunzia

delle SS.UU. del 29 marzo 1980, n. 2072 Il recesso dal rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro in caso di malattia del lavoratore è soggetto alle regole speciali dettate dall’art. 2110 c.c., di talché il datore di lavoro non può recedere dal rapporto prima del superamento del limite di “tollerabilità” dell’assenza del lavoratore (c.d. “periodo di comporto”), disciplinato sia dalla legge che dal contratto collettivo applicato. Il superamento di detto limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, senza che sia necessario, per il datore di lavoro, provare il giustificato motivo oggettivo del licenziamento, la sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa e la correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse. Nel caso affrontato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 4 settembre 2014, n. 18678, i giudici abbandonano però l’ipotesi della malattia, e delle relative tutele, per spostarsi su un altro piano, quello disciplinare: ebbene, ad avviso dei giudici medesimi le modalità con cui le assenze del lavoratore si sono verificate, ovvero “a macchia di leopardo” e costantemente “agganciate” a giorni festivi o di riposo del lavoratore, pur non avendo comportato il superamento del c.d. “periodo di comporto”, hanno comunque dato luogo, come ampiamente dimostrato dal datore di lavoro e testimoniato dai colleghi, ad una prestazione lavorativa non sufficientemente né proficuamente utilizzabile per la società, inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l’organizzazione aziendale. Una prestazione di lavoro, in definitiva, tale da integrare l’ipotesi di giustificato motivo di licenziamento. Pienamente legittimo, dunque, è stato considerato dalla Suprema Corte di Cassazione il licenziamento irrogato dal datore di lavoro al lavoratore che si è reso colpevole, ancorché entro il periodo di garanzia di conservazione del rapporto per malattia, di assenze “tattiche”.

16/10/2014