Il legislatore, dopo alcune interpretazioni contrastanti della giurisprudenza, ha chiarito che, in caso di licenziamento per supermanto del c.d. «periodo di comporto», non è necessario esperire la procedura obbligatoria “preventiva” di conciliazione avanti alle Commissioni Provinciali di Conciliazione delle D.T.L. La scorsa estate con la L. 28/06/2012, n. 92, c.d. «riforma Fornero», abbiamo assistito ad un ulteriore intervento legislativo in materia di lavoro che ha portato, tra l’altro, all’introduzione, con l’art. 1, c. 40, della richiamata legge, di una procedura obbligatoria“preventiva” di conciliazione da esperirsi, su iniziativa del datore di lavoro, avanti alle Commissioni Provinciali di Conciliazione insediate presso le Direzioni Territoriali del Lavoro. Si tratta di una nuova ipotesi di tentativo di conciliazione da attivarsi, obbligatoriamente e preventivamente, in tutti i casi in cui il datore di lavoro che occupi più di quindici dipendenti in una sede, stabilimento o unità produttiva autonoma intenda procedere al licenziamento individuale di un lavoratore sulla base della dichiarata sussistenza di un «giustificato motivo oggettivo».

Tale intenzione, manifestata contemporaneamente al lavoratore interessato ed alla Commissione di Conciliazione, porta alla fissazione, in tempi ristrettissimi, di una seduta nella quale le parti discutono delle eventuali possibilità alternative al mero licenziamento: dall’ipotesi del mantenimento in forza del lavoratore, con o senza trasferimento in altra unità produttiva, a quella dell’attivazione di un altro rapporto di lavoro con diverso soggetto datoriale, sino ai casi di proposta di incentivazione economica ad accompagnare la risoluzione del rapporto di lavoro.

In questo quadro, segnaliamo come si siano evidenziate, in sede di prima applicazione, alcune discordanti interpretazioni giudiziali di merito – e, in parte, anche amministrativa – sulla supposta estensione dell’operatività di tale normativa all’ipotesi del licenziamento per superamento del periodo di comporto. In breve, ci si è chiesti se con riguardo a questa fattispecie ultima fosse necessario esperire il tentativo di conciliazione obbligatoria presso la D.T.L.

Al di là del dibattito dottrinale sulla natura del licenziamento per superamento del periodo di comporto (che, secondo alcuni, integra l’ipotesi del giustificato motivo oggettivo, mentre secondo altri costituisce un’ipotesi a sé), alcuni interventi giurisprudenziali (Trib. Milano, ordinanza del 05/03/2013) e l’interpretazione del Ministero del lavoro (circ. 16/01/2013, n. 3) avevano concordato sul punto che il licenziamento in questione non richiedesse il preventivo espletamento del tentativo di conciliazione obbligatoria presso la D.T.L.

Tuttavia, di diverso avviso sono state altre successive pronunzie di merito (Trib. Milano, ordinanza del 22/03/2013).

Nella nostra realtà locale, la D.T.L. di Piacenza ha seguito l’orientamento ministeriale ritenendo, coerentemente ad autorevole dottrina (da ultimo, P. Albi, Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, in M. Cinelli-G. Ferraro-O. Mazzotta (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, Torino, 2013, p. 260 ss.), che l’ipotesi del licenziamento per superamento del periodo di comporto non necessitasse l’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione.

Tale ricostruzione ha poi trovato pieno conforto e riscontro nell’ultimo, in ordine di tempo, intervento legislativo in materia di lavoro, il D.L. 28/06/2013, n. 76, il quale, all’art. 7, c. 4, ha sostituito il precedente testo dell’art. 7, c. 6, della L. 06/08/1966, n. 604, indicando che la procedura obbligatoria «non trova applicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all’articolo 2110 del codice civile». Oggi, quindi, anche il legislatore ha preso posizione in questo senso, così avallando, in modo esplicito, l’interpretazione prevalente, come detto già fatta propria in sede territoriale.

02/08/2013