La giurisprudenza è tornata ad affrontare il tema della c.d. “doppia contribuzione” nel caso di artigiani e commercianti soci di s.r.l. che, di fatto, apportino due differenti partecipazioni di lavoro: l’uno nell’ambito dell’attività tipica di società, l’altro come amministratori della medesima.

Ebbene, la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 32/2013, ribadisce le argomentazioni già addotte nella sentenza n. 15/2012, così confermando la legittimità dell’art. 12, c. 11, del d.l. n. 78/2010.

Ricordiamo che con questa disposizione il legislatore aveva dato una interpretazione autentica, e quindi vincolante per i giudici, dell’art. 1, c. 208, l. n. 662/1996, il cui effetto era appunto quello di assoggettare a doppia contribuzione – una nella gestione artigianale o commerciale, l’altra in quella c.d. “separata” – i soci lavoratori che svolgessero, in una s.r.l. artigianale o commerciale, sia attività tipica sia funzioni di amministratore.

Un punto essenziale della questione era, come si ricorderà, la retroattività dell’effetto della norma interpretativa citata: infatti, proprio perché andava a chiarire una norma già esistente, l’art. 12, c. 11, del d.l. n. 78/2010 si applicava immediatamente anche a tutti i giudizi in corso. Orbene, la Consulta conferma, in modo probabilmente definitivo, questo indirizzo con una ordinanza che, significativamente, si limita a richiamare, addirittura virgolettandole, argomentazioni già formulate nella sentenza n. 15/2012.

In sostanza, la Corte Costituzionale ribadisce che il legislatore altro non ha fatto che scegliere uno dei significati attribuibili alla disposizione e a cristallizzarlo in un testo vincolante anche per i giudici, senza per questo ledere le prerogative della magistratura o dei cittadini.

La pronunzia in questione è importante, più che per la decisione in sé, per il fatto che attesta il consolidamento dell’orientamento adottato sul punto.

Il fatto stesso, poi, che la Corte Costituzionale abbia scelto di emanare non una sentenza di rigetto, ma una ordinanza di inammissibilità, significa che non si è nemmeno ritenuto di dover approfondire le eccezioni sollevate nel giudizio di legittimità, quanto invece di limitarsi a rilevare che altra questione simile era già stata sollevata e che non vi erano sostanziali differenze rispetto alla fattispecie già denunciata.

Un secondo aspetto formale è poi, senz’altro, il fatto che anche questa ordinanza conferma il rapporto, a volte conflittuale, della Corte Costituzionale con la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che solitamente si presenta molto più rigida nel ritenere non conformi alla Convenzione le norme che abbiano valore retroattivo e che, pertanto, vadano ad incidere su giudizi in corso, a prescindere dal fatto che esse abbiano natura processuale o sostanziale.

Per concludere, va sottolineato come la norma interpretativa contenuta nell’art. 12, c. 11, d.l. n. 78/2010, sia ormai stata recepita, oltre che dall’Inps con la circolare n. 78/2013, anche dalla Corte di Cassazione, da ultimo con l’ordinanza n. 8666/2013.

16/09/2013